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di Maziar Mokhtari
a cura di Giuseppe Stagnitta

 

Mi si è frantumata un’anfora di porcellana tra le mani, ed essa pianse per me, non rattristarti –
disse – anch’io fui come te, il più delle volte anch’io frantumavo le anfore, anche tu un giorno
sarai un’anfora, e frantumerai come lei.
Omar Khayyam

Giovedi 15 dicembre 2022 alle ore 18.00 verrà presentata allo Studio G, di Giada Calcagno e
Giuseppe Stagnitta nuovo spazio nel quartiere di Testaccio a Roma, all’interno dei
festeggiamenti del Centenario del Rione con il patrocinio del I Municipio del Comune di Roma,
l’installazione site-specific dal titolo “… anche tu un giorno sarai anfora” dell’artista iraniano
Maziar Mokhtari con la musica di Arash Jooya far.
Progetto in continuità con la ricerca visiva dell’artista ispirata dai “muri” delle Città, che sono
per lui uno strumento privilegiato di conoscenza della realtà dei popoli che li vivono e
conseguentemente della loro storia. Il suo lavoro diventa, dunque, una ricerca sulla memoria
intesa come valore fondante dell’esistenza attraverso la quale intraprendere qualsiasi viaggio di
conoscenza.
Il muro vissuto come confine, metafora, muri reali e immaginari, muri di parole e muri di
immagini, muro come ostacolo da abbattere e muro come limite in cui proteggersi, da cui si
svela la luce di una lettura apocalittica dell’esperienza vissuta e dove trovare una lingua.

Il progetto che ha sviluppato per lo Studio G è un lavoro che vivrà di due momenti: uno si
concretizzerà in un’opera murale esterna che si realizzerà a gennaio 2023 su un palazzo di
Testaccio – riflessione dell’artista sull’identità del Rione – e l’altro sullo stesso tema
nell’installazione che si presenterà all’interno dello spazio espositivo dello Studio G.
Un lavoro sulla memoria, che l’artista contestualizza sempre integrando il passato con le
vicende del presente, che ha come principale soggetto l’Anfora, metafora della condizione
umana universale e non culturalmente determinata. Le anfore nascono dalla terra e alla terra
ritornano: “io fui come te, anche tu come me sarai”: dice il famoso filosofo iraniano Umar
Khayyam parlando metaforicamente con un’anfora.
Al centro dello spazio espositivo è appesa un’anfora che rappresenta il corpo che ospita l’anima,
rimando esplicito alla leggenda del vaso di Pandora che conteneva tutti i mali e tutte le virtù
della razza umana.
Vaso con disegni e scritte, che si ispirano ai vecchi simboli dell’antico Iran, contrapposte alle
scritte sui muri laterali dello spazio espositivo, che parlano dell’Iran di questi giorni attraverso
metafore significative della letteratura iraniana. Scritte che parlano di capelli, come elemento
metaforico che simboleggia il mondo della “femminilità”. Questa installazione guarda in modo
speciale alla femminilità, dunque, nell’antica cultura e letteratura iraniana legandosi ai recenti
avvenimenti in Iran. Rivoluzione scoppiata in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, ventiduenne
iraniana morta in ospedale a Teheran, dopo essere finita in coma mentre si trovava in custodia
della polizia religiosa, che l’aveva fermata tre giorni prima perché non indossava
correttamente il velo.
Dalla rivoluzione islamica del 1979, la legge in vigore in Iran richiede alle donne, iraniane e
straniere e qualunque sia la loro religione, di coprire il capo e indossare vestiti ampi che
nascondano le forme.
Dal giorno della morte di Mahsa Amini le proteste hanno causato 416 morti e 15.000 arresti. Lo
ha annunciato oggi l’ong Iran Human Rights (Ihr) con sede a Oslo, ed è dunque per tutti questi
motivi che l’artista iraniano si è allacciato alla riflessione sul Rione romano per parlare
dell’uomo in modo più globale ed universale, andando oltre la cultura che determina le sue leggi
in modo ristretto e territoriale. L’uomo come essere universale e non più schiavo di una cultura
che spesso va contro la natura costringendolo a delle leggi deliranti, vissute dalle persone come
l’unica soluzione “normale” e “naturale” di essere al mondo, ma che non sono altro che una
realtà sociale concordata dall’uomo stesso a volte malata e perversa, vedi oggi la situazione del
popolo iraniano.
Verrà realizzato un video dall’artista che immortaleremo con un codice NFT (Non-FungibleToken)

che potrà essere acquistato nel Marketplace NFT di Backstage (www.bkstage.io)).

 

Maziar Mokhtari, nato nel 1980, Esfahan. Si è trasferito in Italia nel 2004. Attualmente vive e lavora tra l’Italia e l’Iran. La sua ricerca visiva nasce dalla scoperta da parte di un viaggiatore che torna a visitare la su città natale (Esfahan) e osserva il momento in cui il colore giallo si manifesta sui muri. La memoria è intesa come valore fondante dell’esistenza, la base culturale e umana attraverso la quale intraprendere qualsiasi viaggio. É l’intuizione che cogliamo nel progetto intitolato Palimpsest (dal greco antico “raschiato di nuovo”), che è incentrato su un singolo elemento dell’omologazione urbana e su uno specifico elemento architettonico; ovvero il muro che diventa uno strumento di ricerca privilegiato a cui si guarda con attitudini diverse. Il muro è inteso in tutte le sue declinazioni e aree tematiche: come confine, metafora, muri reali e immaginari, muri di parole e muri di immagini, muro come ostacolo da abbattere e muro come limite in cui proteggersi, da cui si svela la luce di una lettura apocalittica dell’esperienza vissuta e dove trovare una lingua. La lettura apocalittica è una delle tematiche analizzate nei suoi lavori ed è fondamentale sia nella storia della tradizione giudaico-cristiana sia in quella islamica. Un punto di osservazione privilegiato di tale confronto fra le due culture è stata la città di Roma, che offre la possibilità di interpretare gli incroci fra tali tradizioni. Per lui l’arte resta un antidoto per abbattere ogni barriera, un’arte che vive nei limiti e nelle frontiere, che si mimetizza fra essi per assolvere alla sua capacità rivoluzionaria di gettare via il velo che copre e, dunque, di scoprire. Nella sua ricerca il ritmo è scandito da colore e luce, generando una uniformità fra tutte le opere che si esplicitano l’una nell’altra succedendosi in un’unica atmosfera. Il suo lavoro ha una sua costante processualità che si sviluppa nella pittura, fotografia, video, ambienti e installazioni site-specific.
Ha esposto le sue opere ampiamente sia in Italia che all’estero, in una serie di spazi espositivi, tra cui: Macro Contemporary Art Museum (Roma), Maraya Art Center (Sharjah, UAE), Stux gallery (NY,USA),Palazzo Triennale (Milano), Galleria Più (Bologna), Galleria Dino Morra (Napoli), Galleria Nuova Pesa (Roma), Casa del Architettura (Roma), Azad Art Gallery (Teheran), Emrooz Gallery (Esfahan), Ogallery(Tehran), Bocs Art Residenti (cosenza), Fondazione Vittorio Leonesio ( BS), Fondazione Carla Fendi (Italia), Museo Roberto Billotti Ruggì D’aragona (Italia), Museo del Sale Arte Contemporanea (Salgiemma, Italia).